In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.

A Trapani è stata intercettata la democrazia

Lo scandalo delle intercettazioni ai giornalisti

La domanda da farsi è come intendeva utilizzare queste intercettazioni?


La losca vicenda delle intercettazioni ai giornalisti che si occupano della Libia non può essere circoscritta ai colleghi spiati che pure sono stati profondamente lesi nei lori diritti di cittadini, oltre che nell’aperta violazione della loro carta deontologica che gli impone la tutela delle fonti. Questa storia non può neppure riguardare, più in generale, la sola categoria professionale degli iscritti all’Ordine, ma investe la stessa tenuta democratica del nostro Paese perché nasconde un preciso piano di insabbiamento della verità, colpendo chi questa verità ha il dovere di scoprire e diffondere. Un modus operandi che non è nuovo a chi segue le vicende della politica italiana e che ci ricorda tanti altri insabbiamenti il cui fine è sempre stato quello di ingabbiare la democrazia del nostro Paese. Mi riferisco, per fare un esempio, alle stragi fasciste ma anche a casi celebri come l’abbattimento di Ustica o all’assassinio di Ilaria Alpi. Tutte vicende che hanno visto interi apparati militari e polizieschi operare per coprire sanguinosi segreti di Stato. 
Le centinaia e centinaia di pagine di intercettazioni finite nei brogliacci che gli inquirenti hanno depositato alla procura di Trapani nell’ambito dell’inchiesta su presunti traffici di migranti compiuti dalle navi delle ong, non possono essere giustificate come errori o verifiche eccessive attuate al solo scopo di completare le indagini in corso. I giornalisti intercettati non erano e non sono indagati per questa vicenda, e nessuno aveva motivo di ritenere che potessero essere implicati nei reati contestati alle ong. Reati che, tra l’altro, non ci sono. 
Perché, diciamolo come va detto, siamo davanti soltanto all’ennesima montatura politica per criminalizzare il lavoro di chi salva i migranti in mare. Ma proprio per questo, proprio perché siamo di fronte ad una persecuzione giudiziaria usata come arma per far politica, l’inchiesta pubblicata su Domani del giornalista Andrea Palladino, fa ancora più paura. Fa paura perché siamo di fronte ad un potere che sa benissimo da che parte sta la ragione. Lo sappiamo noi e lo sa anche chi governa che non sono le ong che violano i trattati internazionali sul soccorso in mare. Non  sono le ong che finanziano politiche assassine di esternalizzazione delle frontiere. Non sono le ong che finanziano bande di delinquenti come la guardia costiera libica o che sostengono regimi corrotti, fascisti e massacratori in cambio degli ultimi barili di petrolio rimasti su questo pianeta agli sgoccioli. 
Non sono le ong ma le politiche migratorie dell’Unione Europea che dovrebbero finire nel banco degli imputati per violazione dei diritti fondamentali dell’uomo sanciti dalle convenzioni i internazionali. Intercettare i giornalisti che, inseguendo quella che il codice deontologico chiama la “verità sostanziale dei fatti”, non possono fare altro che raccontare quanto accade in Libia e nel Mediterraneo, non può nascondere altro che un tentativo del potere di nascondere o tacitare questa verità. E nascondere e alterare la verità, lo sappiamo bene, è la prima regola di uno Stato fascista. Perché la libera informazione è uno degli scudi più potenti a difesa della democrazia. 
Ma c’è anche un secondo aspetto, ancora più pericoloso che va messo in luce. L’inchiesta della procura di Trapani è cominciata nel 2017 su pressione del Servizio Centrale Operativo (Sco) alle dipendenze dell’allora ministro Marco Minniti. Un nome che non ci tranquillizza affatto, considerando che la “stretta” sulle politiche migratorie, perseguita poi da Matteo Salvini, è avvenuta proprio con questo egregio rappresentante del Pd. 
Vien da chiedersi allora come lo Sco intende o intendeva usare queste intercettazioni. Scoprire le fonti che fornivano informazioni ai giornalisti? Per lo più si tratta di persone che vivono situazioni già pericolose che hanno un rapporto fiduciario col giornalista professionista che ha l’obbligo deontologico di tutelarli. Far trapelare questi nomi significa mettere loro, e spesso anche le loro famiglie, a rischio della vita. 
Nello Scavo di Avvenire, è stato intercettato mentre chiedeva ad un migrante detenuto in un lager libico se fosse possibili avere dei video che denunciavano le brutalità commesse dagli aguzzini. Altri giornalisti sono stati intercettati mentre pianificavano con contatti locali un viaggio in Libia. 
L’aspetto più inquietante della faccenda è che i giornalisti non sono stati soltanto intercettati ma ne sono stati rilevati anche gli spostamenti. Davvero queste sono informazioni “basilari” nell’ambito di una indagine farlocca sulle ong? No. Questa giustificazione non è assolutamente sostenibile. Sottolinea Beppe Giulietti in un suo tweet “Non abbiamo risposta alla domanda essenziale: perché venivano registrati i colloqui tra una cronista come Nancy Porsia e la sua legale Alessandra Ballerini (l’avvocata della famiglia Regeni.ndr) e perché sono state trascritte le parti relative ad un prossimo viaggio in Egitto “senza scorta” dell’avvocata?” La risposta fa paura. 

Dossier Libia, tutti gli orrori dell'altra sponda del Mediterraneo

Un progetto di LasciateCIEntrare per urlare cosa accade ai migranti in un Paese che è "sicuro" solo per la politica europea

Nessuno dica che non lo sapeva. Quanto accade nei lager libici è sotto gli occhi di tutti quelli che vogliono vedere. Reportage giornalistici, testimonianze dirette, fotografie, allucinanti video girati qualche volta dalle vittime più spesso dagli stessi torturatori per ricattare i familiari dei seviziati o semplicemente per divertimento. Tutto questo è noto al mondo. Dite piuttosto che non ve ne frega niente o che non sono affari vostri, ma non dite mai che la Libia è un Paese sicuro o che i lager in cui rinchiudono i migranti sono centri di detenzione al pari di tanti altri.
E non dite nemmeno che l'Italia, l'Europa, noi stessi non abbiamo responsabilità di quanto accade in quel Paese. E' con i nostri soldi, quelle della "cooperazione", che i torturatori sono pagati per torturare, è con le nostre motovedette che la guardia costiera riprende i barconi dei profughi in fuga, quando non li affonda direttamente per lasciarli morire nel Mediterraneo.

Abbiamo trasformato il fenomeno della migrazioni in un business e lo abbiamo appaltato alla criminalità organizzata. In cambio, ci è stata restituita quella paura sufficiente per giustificare una politica fascista, populista e xenofoba. Una politica fatta di emergenze urlate, di proclami vuoti, di notizie false. Una politica che ha come unico obiettivo la limitazione dei diritti civili, la criminalizzazione dei movimenti e l'instaurazione di un regime totalitario. In altre parole, una politica che ha come obiettivo la stessa democrazia.
In tutto questo processo, il silenzio è complice. E per questo abbiamo deciso di denunciare con tutta la voce che abbiamo quanto accade in Libia. Perché tollerare tali continue e sanguinose violazioni dei diritti più basilari dell'uomo significa rinunciare alla nostra stessa umanità. Significa accettare il fascismo e la violenza come qualcosa di inevitabile. Oggi in Libia domani in Italia e in Europa.

Dossier Libia è nato all'interno della campagna LasciateCIEntrare in collaborazione con Asgi e Melting Pot proprio per questo scopo. Raccogliere reportage e testimonianze di quanto accade ogni giorno su quella sponda del Mediterraneo. Reportage di giornalisti di tutti i media del mondo che hanno acconsentito a collaborare con noi. Testimonianze raccolte dai volontari della rete di operatori che lavorano quotidianamente con le vittime della tortura e che abbiamo scelto di pubblicare senza censure - e vi assicuro che per noi questa non è stata una scelta facile! - proprio perché nessuno possa dire, un giorno, "io non lo sapevo".

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